Riceviamo e pubblichiamo la lettera di Michele Pacciano, giornalista professionista.

Grazie, Signore, per avermi donato l’handicap.

Chi l’ha detto che sono sfortunato?

Ringrazio Dio per la disabilità E lo scopro ogni giorno. Non è un paradosso, solo un cambiamento di prospettiva. Ho una tetraparesi e guardo il mondo dall’alto di una carrozzina. Certo non è facile, ma può essere anche esaltante. Senza le difficoltà che ho, non sarei diventato ciò che sono. Non conosco una vita diversa da questa. Senza la mia paralisi cerebrale infantile probabilmente sarei un cretino come tanti altri. L’handicap mi ha insegnato il gusto della fatica di ogni giorno, il piacere quotidiano di costruire un pensiero positivo, l’idea di usare il tempo per pensare e approfondire, costruire piccoli obiettivi che accrescono la tua autostima, ritrovare ogni mattina l’essenzialità del vivere nel superamento degli ostacoli che incontro ogni minuto e nella continua riappropriazione delle piccole, grandi cose.

Da credente, lo dico in un’accezione eminentemente laica.

Non ho bisogno di attraversare un ponte tibetano o di avere le scarpe firmate, o il Rolex per poter dare un senso alla mia giornata, amo le macchine, ma guido una carrozzina elettrica e non mi struggo per non avere una Ferrari o una Porsche. Non è pauperismo, la vita mi piace godermela, mangiare e amare.

È vero, vivere pienamente una dimensione sessuale e sentimentale, con handicap, è difficile. Ma ci ha mai sfiorato l’idea, che al di là e proprio a causa delle difficoltà, le persone con disabilità possano forse trovare il vero amore, che è progetto, corresponsione e comunione tra due persone?

Anche l’handicap può diventare una teofania, una manifestazione testimonianza dell’amore di Dio nella dimensione in cui lo si viva come necessità di ritrovarsi nelle essenzialità di ciò che si è e non necessariamente in ciò che si fa o che si ha. La disabilità ti insegna anche che hai sempre e comunque bisogno di aiuto, che non puoi e non sei mai solo, che devi rinunciare al tuo orgoglio e ad inseguire quella che i greci chiamavano yubris, cioè quella tracotanza dell’ego che allontana l’uomo da sé stesso.

Non è filosofia d’accatto, magari solo il frutto di un percorso, che ti porta alla ritrazione, a guardare la luce nelle fughe, nelle crepe e nelle pieghe del mondo

Laureato in giurisprudenza, piccolo peccato di gioventù, sono un giornalista professionista, lo dico per ultimo perché questo non è un traguardo, ma un eterno punto di partenza, condito di quotidiana curiosità e adrenalina, che ti fa osservare il dentro e l’oltre che c’è in ogni cosa è in ogni uomo.

Sei abbracciata con amore, la Croce, è l’inizio della risurrezione. Qui sulla terra, dove possiamo riportare un pezzo di cielo.

Non sono un asceta, non sono un masochista. Non ho più coraggio degli altri. Magari lo hanno avuto i miei genitori, nel darmi un surplus d’amore.

Sono solo un uomo, che ama la vita.

Non ho consigli da dare, forse solo una mano da tendere.

Se volete, potremmo anche discuterne, confrontarci sull’handicap e su noi stessi.

A presto,

Michele

 

per contattare Michele: michelepacciano@gmail.com

 

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