Consacrazione della Chiesa parrocchiale del Cuore Immacolato di Maria in Castellaneta: l'omelia di Mons. Sabino Iannuzzi
Sabato 28 Giugno 2025 la comunità della Parrocchia Cuore Immacolato di Maria di Castellaneta si è ritrovata in occasione della Santa Messa per la Consacrazione della Chiesa parrocchiale presieduta da Mons. Sabino Iannuzzi. Di seguito l'omelia del Vescovo. (Foto: UCS Castellaneta - Maria Rosa Patruno)
Fratelli e sorelle,
con grande gioia stiamo celebrando la dedicazione di questa chiesa parrocchiale nel sessantesimo anniversario della sua apertura al culto.
In questa liturgia, che coincide con la vigilia della festa dei Santi Pietro e Paolo, rendiamo grazie a Dio per questo edificio sacro che Egli ha donato alla nostra comunità.
Ricordiamo con gratitudine come, l’8 dicembre 1964, questo tempio fu aperto al culto. Una chiesa sorta per servire un nuovo quartiere, frutto della lungimiranza del compianto Mons. Leonardo Molfetta.
Da allora, generazioni di fedeli hanno pregato qui e la parrocchia è cresciuta sotto la guida di pastori zelanti dal primo parroco Don Peppino Calò allo stesso Mons. Molfetta, fino a Don Nunzio Picaro e all’attuale Don Oronzo Marraffa, che ha desiderato tutto ciò, in quest’anno di grazia, anche per la felice coincidenza del Giubileo Ordinario che ci chiama ad essere “pellegrini di speranza”.
Oggi non solo dedichiamo finalmente e in modo solenne questa chiesa al Signore, ma consacriamo il nuovo altare e benediciamo il nuovo Tabernacolo, preparato per conservare il Sacramento del Corpo e Sangue del Signore Gesù, così che, adorando Cristo qui presente, siamo resi partecipi sempre più del mistero della Redenzione.
È un momento storico quello che stiamo vivendo perché unisce memoria e profezia: memoria per 60 anni di cammino comunitario e profezia per un rinnovato slancio di fede e di servizio per il futuro.
Ma che cosa celebriamo, in profondità, dedicando una chiesa?
Di certo non è un semplice rito formale, fatto di simbolismi su pietre e oggetti, ma il mistero di un Dio che vuole abitare in mezzo al suo popolo.
Questa chiesa, nella quale da sempre si sono celebrati i santi misteri, diviene oggi ufficialmente casa di Dio e casa della comunità.
«Le dedicazioni non sono mai fatte una volta per tutte… i luoghi sacri sono sempre incompiuti, come in cammino è la comunità, con un obiettivo: dare nel tempo nuova voce e nuovi spazi al Vangelo, riscoprendo che solo Gesù è la pietra angolare che sta a fondamento di tutto quello che si costruisce» (A. De Mura, Omelia. La cattedrale, una casa per tutti, 18 luglio 2024).
Dedicare l’altare, mensa eucaristica, benedire il nuovo Tabernacolo, luogo della presenza reale, e l’ambone, luogo della Parola, significa evidenziare i segni visibili della presenza viva dell’unico Maestro in mezzo a noi. Cristo è la pietra viva su cui questa chiesa è costruita, e noi, come pietre vive (1Pt 2,5), siamo chiamati a formare un edificio spirituale, una famiglia di fede salda su di Lui.
La Parola di Dio proclamata ci aiuta a comprendere ciò che stiamo celebrando.
La pagina degli Atti degli Apostoli (3,1-10) ci conduce alla porta del Tempio di Gerusalemme, detta “Bella”. Un povero storpio tende la mano sperando in qualche moneta. Pietro non ne ha ma sente compassione ed offre ciò che possiede: «Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!» (At 3,6).
E quell’uomo, da anni incapace di camminare, balza in piedi guarito, entrando nel Tempio e lodando Dio.
Ecco rivelata la vera ricchezza della Chiesa: non l’argento o l’oro, ma Gesù Cristo stesso. Pietro, pur non avendo beni materiali da offrire, dona ciò che ha di più prezioso: la potenza e l’amore di Cristo che risana e rialza.
Allo stesso modo, questa Chiesa oggi dedicata diventa preziosa non tanto per le sue mura, ma perché in essa abita il Signore e da essa viene offerto al mondo ciò che solo Dio può dare. Qui i “poveri in spirito” trovano il tesoro del Vangelo, qui i feriti nell’anima trovano la guarigione dei sacramenti, qui ogni fedele riceve un nutrimento che il denaro non può comprare, il Pane di vita e la Parola di Dio.
Come Pietro, la Chiesa anche oggi dice al mondo: “Quello che ho te lo dono: Gesù Cristo!”. Attorno a questo altare che stiamo consacrando ci nutriremo infatti del Corpo e Sangue di Cristo; da questo ambone ascolteremo le parole di vita eterna.
Nessun’altra istituzione al mondo può offrire ciò che la Chiesa offre in nome di Gesù.
Questa è la nostra missione: portare Cristo al prossimo, soprattutto a chi è “fermo alla Porta Bella” della vita, in attesa di aiuto e di senso.
Fratelli e sorelle, tutto viene da Gesù Cristo.
Se oggi possiamo celebrare 60 anni di vita parrocchiale, non è certo per i nostri meriti, ma perché il Signore ha operato tante grazie in questa comunità. Infatti, nulla abbiamo che non abbiamo ricevuto. Riconoscere questo ci porta a lodare Dio come abbiamo fatto con le parole del salmista: «I cieli narrano la gloria di Dio… senza linguaggio, senza parole… per tutta la terra si diffonde il loro annuncio» (Sal 18). Perché le opere del Signore parlano da sole e noi siamo chiamati a esserne testimoni riconoscenti.
Nel Vangelo (Gv 21,15-19) contempliamo il commovente dialogo, sulle rive del lago di Tiberiade, tra Gesù risorto e Simon Pietro.
Per tre volte Gesù chiede: «Mi ami tu?». Soltanto dopo la triplice risposta di amore, il Signore affida al pescatore il mandato: «Pasci le mie pecore» (21,17) e «Seguimi» (21,19).
È un brano – per noi oggi – ricco di significato: perché l’amore a Cristo è la condizione fondamentale per servire la Chiesa.
Carissimi fratelli e sorelle, oggi, dedicando questa chiesa e consacrando il suo altare, sentiamo rivolta anche a noi la stessa domanda: “Mi ami tu?”.
Amiamo davvero il Signore?
Gli stiamo dando il primo posto nella nostra vita personale e comunitaria?
Se possiamo rispondere – magari con un po’ di tremore ma con autenticità – “Signore, tu sai che Ti vogliamo bene!”, allora anche a noi Gesù affida il compito: “Pasci le mie pecore”, cioè abbi cura dei miei figli, dei tuoi fratelli.
Dedicare una chiesa, infatti, sarebbe del tutto inutile se non fossimo decisi a essere una comunità viva che si prende cura gli uni degli altri.
L’altare di pietra che oggi ungeremo con il Crisma simboleggia Cristo, centro e cuore di questa casa: da lì riceviamo l’Amore più grande, quello di Colui che ha dato la vita per le sue pecore.
L’ambone, dal quale risuonerà il Vangelo, ci ricorda che non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio.
Parola e Pane: qui attingiamo l’amore e la verità che tengono unita la Chiesa.
Ma questo dono esige di essere condiviso.
“Pasci le mie pecore” significa che ciascuno di noi, a modo suo, è responsabile del fratello; ciascuno, secondo la propria vocazione, è chiamato a servire, consolare, istruire, aiutare qualcuno.
Una chiesa dedicata è una chiesa aperta: aperta all’accoglienza, alla condivisione, al servizio dei più deboli. Diversamente sarebbe solo un bel museo e per di più, come in questo contesto, del tutto vuoto!
Guardiamo per un attimo i santi Pietro e Paolo, le cui reliquie, insieme a quelle di San Cataldo saranno poste sotto la mensa dell’altare. Guardiamoli come modelli per la vita di questa comunità.
Pietro, fondamento visibile dell’unità; Paolo, araldo instancabile del Vangelo oltre ogni confine. Due storie diversissime, ma unite dallo stesso fuoco.
Il Signore continua a edificare la Chiesa proprio a partire da diversità riconciliate. Si tratta di un messaggio attuale e profetico per tutti noi. La nostra credibilità sarà tale nella misura in cui sapremo abitare tensioni e differenze, cercando non uniformità, ma comunione.
Pietro ci insegna a custodire; Paolo ci sprona a uscire. Stabilità e missione diventano come due gambe su cui camminare.
Questa dedicazione avviene in un momento speciale: siamo nell’Anno Santo, un Giubileo che Papa Francesco ha voluto col motto “Pellegrini di speranza”. È l’invito a metterci in cammino con spirito rinnovato, con la stessa sollecitudine di Maria che, dopo l’Annunciazione, si alzò e andò in fretta a servire Elisabetta. Anche noi siamo chiamati a farci prossimi, soprattutto verso chi è spiritualmente “paralizzato” e sosta alla porta della città.
Alimentati dall’Eucaristia, spinti dalla Parola, potremo accendere fiaccole di speranza in famiglie ferite, in giovani disorientati, in anziani che temono di non contare più.
Il Cuore Immacolato di Maria, che contempleremo tra queste mura, è l’icona di un amore materno che non lascia mai soli i figli: impariamo da Lei, uno sguardo misericordioso e uno stile di cura.
Carissimi, in questo giorno “santo” il nostro cuore è di certo colmo di gratitudine.
Rendiamo grazie al Dio-Trinità che oggi prende pieno possesso di questa casa terrena perché noi possiamo prendere possesso un giorno della sua casa celeste.
Ringraziamo per tutti i benefici ricevuti in 60 anni di vita parrocchiale: per i sacramenti celebrati, per la fede trasmessa, per la carità vissuta.
Ringraziamo per i sacerdoti (di ieri e di oggi) che hanno animato questa comunità; per quelli che sono figli di questa comunità (don Mauro Ranaldi e don Francesco Zito), le religiose che negli anni si sono succedute (ed oggi purtroppo mancano) e i laici che hanno servito e amato questa comunità, talvolta nel nascondimento.
Davvero le vere fondamenta appartengono a Dio, e solo per questo resistono salde nel tempo: se questa chiesa di pietre e la “chiesa di persone” hanno attraversato decenni di storia, è perché il Signore le ha sorrette con la Sua mano.
Al tempo stesso, la Dedicazione non è un punto di arrivo, ma di ripartenza.
Riceviamo oggi una consegna: essere noi stessi il tempio vivo di Dio, luce del mondo e sale della terra.
La dedicazione di oggi ci affida una missione: trasformare muri in ponti, riti in vita, devozioni in carità concreta.
Signore Gesù,
Pietra viva scartata dai costruttori
e divenuta testata d’angolo,
accogli questa casa come tua dimora
e fa’ di noi le sue pietre vive.
Spirito Santo,
scendi su questo altare che ora consacriamo:
ogni Eucaristia rinnovi la Pasqua
e ci trasformi in pane per i fratelli.
Padre buono,
fa’ risuonare in questo ambone la tua Parola:
perché sconvolga le nostre paure,
apra vie nuove di giustizia e di pace.
Cuore Immacolato di Maria,
veglia su questa comunità;
insegnaci a custodire e meditare,
come Te, i prodigi di Dio.
Santi Pietro e Paolo,
intercedete perché restiamo
saldi nella fede e audaci nella missione.
E così, pellegrini di speranza,
cammineremo verso quel giorno
in cui la Gerusalemme celeste
non avrà bisogno di tempio,
perché Dio sarà tutto in tutti.
Amen!
+ Sabino Iannuzzi