Festa Patronale di Maria SS. della Scala a Massafra: l'omelia di Mons. Sabino Iannuzzi
Domenica 4 Maggio 2025 la Città di Massafra ha festeggiato la B.V. Maria SS. della Scala, Patrona della comunità. Dopo la Santa Messa celebrata da Mons. Sabino Iannuzzi presso il Santuario della Madonna della Scala, si è svolta la processione con il venerato simulacro. Sul palco sito all’angolo di viale Marconi, il Commissario Prefettizio Dott.ssa Eufemia Tarsia ha pronunciato il suo discorso alla città e Mons. Vescovo ha consegnato le chiavi alla Vergine. Di seguito l'omelia del Vescovo (Foto: Maria Rosa Patruno)
Carissimi fratelli e sorelle,
in questa prima domenica di maggio, mese che da sempre la sapienza del popolo cristiano dedica alla Vergine Maria, siamo scesi in questa gravina come un unico corpo orante, così da raggiungere questo Santuario dove l’antico affresco della Madonna della Scala trasmette da secoli tenerezza e coraggio.
La discesa dei 125 scalini, che abbiamo compiuto con i nostri passi, è immagine di quel movimento di Dio che in Cristo è sceso nelle pieghe più profonde dell’umano per rialzarlo nella luce pasquale.
La Parola di Dio, appena proclamata, si presenta a noi, senza soluzione di continuità, come un unico arazzo di speranza.
Nella pagina deli Atti degli Apostoli abbiamo contemplato Pietro e gli altri, feriti ma liberi, «lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi (di soffrire) per il nome di Gesù» (At 5,41), perché sanno che nessuna catena è capace di trattenere la forza dirompente del Vangelo.
Il salmista ci fa cantare la svolta decisiva in cui «il lamento si è mutato in danza» (Sal 29), quella promessa per i momenti di smarrimento che attraversano le famiglie, il lavoro e le nostre relazioni.
L’Apocalisse, dal canto suo, ci proietta sul futuro con una liturgia cosmica in cui «miriadi di miriadi e migliaia di migliaia, dicevano a gran voce» (Ap 5,11-12), ossia acclamano l’Agnello, smascherando la menzogna di ogni rassegnazione che pretende di etichettare la storia come terra di nessuno.
Infine, il Vangelo di Giovanni, ci rende parte di quella scena svolta sulle rive del lago di Tiberìade, quando Gesù, manifestandosi di nuovo, consegna a Pietro – e di conseguenza a ciascuno di noi – una verità sorprendente: il peccato, quando incontra lo sguardo del Risorto, non è pietra tombale ma grembo di missione.
Perché, con la triplice richiesta «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?» scioglie quei famosi tre rinnegamenti – del momento della prova – e spalanca la strada del servizio nuovo: «Pasci le mie pecore» (Gv 21,17).
Dentro questo intreccio di visioni e promesse si accende la fiamma di una «speranza che non delude» (Rm 5,5), virtù teologale che alimenta la profezia della nostra vita. Una certezza (perché virtù teologale) che non ci permette di cedere:
- alla violenza che avvelena le parole;
- alle ingiustizie che spolpano il lavoro;
- ai fatalismi che cancellano il futuro dei giovani;
- alla ferita ambientale che deturpa il creato.
Lo Spirito Santo, riversato nei nostri cuori (cfr. Rm 5,5), e che il Risorto ha confermato a Pietro con l’imperativo: «Seguimi», ci invita a scelte ardite, in cui dobbiamo impregnarci a: trasformare il conflitto in dialogo, la paura in accoglienza, l’indifferenza in giustizia; vegliare perché la nostra gravina resti una culla di arte e di bellezza e non diventi altro; promuovere percorsi di riconciliazione per guarire memorie lacerate; educare alla gratuità che rende il Vangelo credibile.
In questo compito Maria non è una figura romantica ma una madre profetica:
- con il suo «Eccomi» ha rovesciato la logica del potere;
- con la visita a Elisabetta ha fatto danzare di gioia chi si sentiva sterile;
- con la pazienza di Nazaret ha intrecciato relazioni capaci di custodire la vita nascente;
- con la presenza silenziosa sotto la croce ha tenuto aperto il varco tra la disperazione e l’alba della Pasqua.
Affidarci a lei oggi significa lasciarci plasmare in uno stile di fraternità (di comunione e convivialità) che rifiuta le barriere e costruisce ponti.
Significa guardare ogni persona come un fratello e ogni terra come la casa comune.
Significa resistere al furto della speranza che spesso avviene di notte, quando la stanchezza suggerisce l’indifferenza.
Fra poco, su questo altare, si renderà presente l’Agnello che regge la storia.
Ancora una volta ci sarà detto: “prendiamo e mangiamo” quella Vita perché la nostra vita diventi segno, così che risalendo questa gravina potremo portare sulle strade del quotidiano l’audacia di chi ha visto il Signore vivo, certi che il futuro – anche quando sembra nascosto – sta già germogliando nelle mani di Dio e che, per questo, nessuno potrà mai rubarci la speranza.
A te ci affidiamo,
o Vergine Maria, Madre della Scala
perchè quando il cammino si farà ripido,
piega il tuo volto su di noi
e sussurra ai nostri orecchi ancora una volta,
come a Cana:
«Fate quello che vi dirà».
Amen!
+ Sabino Iannuzzi